Napule è mille culure
Il secondo estratto dal romanzo
Come ho detto sotto, tempo fa preparai tre estratti dal mio romanzo Napulammore per tentare di interessare alcuni direttori editoriali. Ecco il secondo:
Giggino alla sua bancarella a Mezzocannone. Dopo essersi contentato per anni di rimirare da lontano l’oggetto della sua venerazione, per nulla contrariato dall’assoluta indifferenza da lei dedicatagli, Giggino decide di parlare per la prima volta ad Adele mentre le sfila davanti come al solito senza degnarlo di attenzione. Giggino ritiene probabilmente quella l’ultima occasione di parlare alla “’nnammurata” sua prima dei fatti gravi che stanno per accadere e non vuole lasciarsi scappare l’occasione. La sua decisione provoca una notevole animazione in quel lembo di Napoli, torme di curiosi affluiscono da ogni dove assiepandosi intorno alla bancarella: insomma si capisce che in quel sonnacchioso angolo partenopeo accade qualcosa ai limiti dell’eccezionale.
Giggino disse o meglio cercò di dire in mezzo ai balbettii e ai mugugni che accompagnavano il suo eloquio che l’amore è un sentimento bisognoso di uno spirito disinteressato. L’amore è al di là dei calcoli. L’amore non chiede niente in cambio, solo il bene della persona amata. Lo dimostravano soprattutto i cavalieri senza macchia e senza paura di cui aveva sentito parlare ai tempi della scuola. Cuori nobili che mettevano la loro spada al servizio di una dama senza chiedere nulla in cambio. Aveva sentito parlare di un cavaliere antico pure in una canzone cantata da Franco Ricciardi o forse Mimmo Dani, c’era pure la principessa in quella canzone, forse la faceva Ida Rendano o magari Emiliana Cantone, va’ a capire, e sia il cavaliere che la principessa non cantavano in napoletano perché gli amori dei cavalieri erano troppo seri per esprimerli con la lingua di Pullecenella. Ma che stava dicendo? Ah sì, parlava dei cavalieri innamorati, gliene aveva parlato pure una sua maestra delle elementari, la signorina Giovanna, una che piangeva per le poesie romantiche dei tempi di Dante, ma che ti lasciava le cinque dita in faccia se osavi farti beffe delle sue idee sull’amor cortese. La signorina Giovanna parlava di cavalieri e poesia come se si aspettasse da un momento all’altro che sotto casa sua parcheggiasse un destriero focoso cavalcato da un Lancillotto con un mantello rosso e uno spadone più grosso e affilato del coltellaccio del chianghiere della zona, come se fosse normale che un eroe andasse a chiedere la mano di una maestrina elementare nemmeno tanto bella che aveva come massimo pregio quello di stampare cinque dita rosse sulle guance degli alunni scostumati che osavano ridere dei suoi racconti sull’amor cortese. Lui adesso poteva pure essere mezzo scemo, disse o cercò di dire Giggino, ma all’epoca gli scemi erano gli altri e lui si beveva tutte le parole della signorina Giovanna, aveva pure fatto una relazione su re Artù, forse per dimostrare che era intelligente o forse perché sotto sotto era innamorato della signorina Giovanna. O forse non era innamorato davvero della signorina Giovanna perché nella relazione scolastica aveva scritto che quando vuoi bene sul serio a una donna sei disposto ad affrontare un drago di quelli veri e grossi e con il fuoco che gli esce di bocca. No, lui non avrebbe affrontato un drago per la sua antica maestra delle elementari, questo se lo ricordava bene e questo dunque significava che non era realmente innamorato della signorina Giovanna. Perché una cosa Giggino aveva capito sull’amore, quando sei davvero innamorato, quando il tuo cuore fa il pazzo per qualcuno tu il drago lo affronti, anche a costo di morire, perché l’amore è più forte di qualsiasi drago.
Un estratto dal romanzo
Più di un anno fa scrissi ad alcuni importanti dirigenti editoriali. Pensavo di avere in mano una buona storia e pensavo che se li avessi incuriositi abbastanza da dargli uno sguardo essi, i direttori editoriali, non avrebbero potuto non concordare con me. Decisi che i direttori editoriali, specie se importanti, si sarebbero annoiati in fretta di qualsiasi verbo dei comuni mortali, ma che se si doveva cercare di interessarli bisognava pur dire qualcosa. Calcolai dopo un bel riflettere che due paginette fronte-retro a interlinea uno sarebbero andate bene. Ci avrei messo una sintesi sinteticissima del mio romanzo, un altrettanto essenziale curriculum in cui mi sarei presentato come estimatore della Napoli vicolesca croce e delizia di noi che ci viviamo e infine tre estratti del mio romanzo, opportunamente adattati alla bisogna. Dopo notevoli revisioni, spedii le mie due cartelle fronte retro agli importanti direttori editoriali. Ma o perché le lettere non giunsero mai all’attenzione degli alti destinatari o perché vi giunsero senza causare attenzione, nessuno si fece vivo. Per un po’ la cosa mi turbò. Poi riflettei che pure i direttori editoriali, per quanto potenti e stimati, appartengono al genere umano. E il genere umano, si sa, non è infallibile. Questa è una scena del primo capitolo.
Annarella e Giggino in uno scantinato di Montesanto. Giggino ha appena salvato la vita ad Annarella, mettendo in fuga l’ultimo suo cliente di sesso violento con il quale la sua amica cercava la morte. Annarella però non dimostra riconoscenza e anzi ringrazia il suo salvatore aggredendolo e prendendolo a schiaffi finché non rimane senza forze. Giggino accetta gli schiaffi senza difendersi, e anzi conservando la sua aria da bambino che ha fatto una marachella passibile di punizione. Come per farsi perdonare, consegna alla sua poco riconoscente amica le molte banconote, aumentate di numero dopo il suo intervento nello scantinato, lasciatele dall’ultimo brutale cliente. Ma…
… quando le porse alla sua interlocutrice, lei piombò in una nuova violenta crisi di rabbia. Prese una banconota da cinquanta euro e la strappò e lo stesso tentò di fare con le altre prima che il suo compagno le bloccasse le braccia. “Non li voglio, non voglio! Abbruciali tutti!”
“Annare’, nun fa accussì, sono soldi tuoi. E sono assaie, ti possono servire.”
Annarella emise un grosso grumo di saliva tentando di colpire il suo salvatore, ma non riuscendoci a causa della scarsa gittata del suo sputo. “’Ntrunato, ma mi stai a sentire o no? Ma comme cazzo faie a campà con quel tuo un cervello da bambino? Pigliati tutti chisti sordi e buttali nel cesso.”
Dopo un po’ tuttavia si calma e chiede al suo interlocutore, con il ritrovato affetto che gli dedica di solito, come sta quella che definisce la sua ragazza. Per la prima volta dall’entrata in scena, Giggino sorride. Decanta le notevoli qualità fisiche e intellettuali della “’nnammurata” sua e ringrazia Adele per non essere invidiosa, come qualche volta succede alle donne quando se ne vantano altre in loro presenza.
Giggino tirò fuori dal portafogli una foto che mostrò alla sua interlocutrice con orgoglio. Raffigurava una donna dalla bellezza abbagliante, alta, attraente, snella, sembrava una stella del cinema, anche se il suo tailleur grigio manager la qualificava come una donna di affari o tutt’al più come un’avvocatessa. Annarella in effetti sapeva che la donna ripresa nella foto era una delle avvocatesse napoletane emergenti, aveva una rubrica settimanale sul Mattino in cui si parlava di degrado cittadino assistenza alle famiglie bisognose.
“Pare ‘a meglia femmena e Napule. Sei proprio fortunato ad avere una fidanzata così”, disse Annarella riconsegnando la foto della donna attraente.
Ci fu qualche momento di silenzio, mentre Annarella continuava ad aspirare fumo dalla sigaretta e a emetterlo nell’aria inquinata dello scantinato. Quindi Giggino disse lentamente: “Pecché vuo’ murì, Annaré? Non ti piace vivere?"
Napulammore
Strade che vanno da Spaccanapoli a san Gregorio Armeno, a Port’Alba. Bancarellari ritardati mentali a Mezzocannone innamorati di bellissime signore partenopee che nemmeno sanno che esistono. La Napoli antica, ma pure quella moderna rappresentata dai social network, dall’incomunicabilità metropolitana, dalle nevrosi che aleggiano nei vicoli moderni. E l’amore, ovviamente. L’amore incredibilmente ingenuo e forse puerile come quello che può sviluppare un disabile vittima dell’ottusa guapparia nostrana che fatica a morire. Oppure la mancanza d’amore che può colpirti in uno di questi vecchi palazzoni spagnoleschi dalle parti della Cappella San Severo, quelli nei cui appartamenti a volte ci trovi ancora cappelle votive o qualcosa di simile (anzi a volte è tutto l’appartamento che è una specie di tempio-museo borbonico). Di cosa parlo? Ma del mio nuovo romanzo Napulammore.
Ecco la quarta di copertina. Giggino è considerato ritardato, però il suo cuore batte forte. Anche se la sua affascinante fidanzata non sa nemmeno che lui esiste, è disposto a uccidere per lei. Annarella cerca la morte in incontri di sesso violento. E’ seguita da un inquietante personaggio che vede solo lei, che è il solo individuo per la cui mano non vorrebbe morire. Carmine soffre di solitudine, forse perché tratta spesso con i numeri primi. Tre storie che si intrecciano in una Napoli notturna pure di giorno, una città in bilico tra il folclore e la tragedia, dove nei vicoli dei quartieri spagnoli, a nord di Mezzocannone e a sud di Spaccanapoli e dei Tribunali, puoi trovare illusioni quante ne vuoi.
Come si intuisce da queste righe, ho scritto un romanzo. Se qualcuno si è incuriosito per questa presentazione e vuole leggerlo può acquistarlo qui, dopo una veloce iscrizione al sito. Si può ordinarlo pure in libreria, se si vuole. Ah, la copertina l’ho disegnata io (cliccate per ingrandire) e rappresenta un lembo di un palazzo diroccato di via San Gregorio Armeno (la nota strada dei presepi napoletani) che io ho sempre definito per evidenti motivi “palazzo dei fantasmi”. Un ringraziamento a tutti quelli che leggeranno il mio romanzo.