Il secondo estratto dal romanzo

IMG_1182Come ho detto sotto, tempo fa preparai tre estratti dal mio romanzo Napulammore per tentare di interessare alcuni direttori editoriali. Ecco il secondo:

Giggino alla sua bancarella a Mezzocannone. Dopo essersi contentato per anni di rimirare da lontano l’oggetto della sua venerazione, per nulla contrariato dall’assoluta indifferenza da lei dedicatagli, Giggino decide di parlare per la prima volta ad Adele mentre le sfila davanti come al solito senza degnarlo di attenzione. Giggino ritiene probabilmente quella l’ultima occasione di parlare alla “’nnammurata” sua prima dei fatti gravi che stanno per accadere e non vuole lasciarsi scappare l’occasione. La sua decisione provoca una notevole animazione in quel lembo di Napoli, torme di curiosi affluiscono da ogni dove assiepandosi intorno alla bancarella: insomma si capisce che in quel sonnacchioso angolo partenopeo accade qualcosa ai limiti dell’eccezionale.

Giggino disse o meglio cercò di dire in mezzo ai balbettii e ai mugugni che accompagnavano il suo eloquio che l’amore è un sentimento bisognoso di uno spirito disinteressato. L’amore è al di là dei calcoli. L’amore non chiede niente in cambio, solo il bene della persona amata. Lo dimostravano soprattutto i cavalieri senza macchia e senza paura di cui aveva sentito parlare ai tempi della scuola. Cuori nobili che mettevano la loro spada al servizio di una dama senza chiedere nulla in cambio. Aveva sentito parlare di un cavaliere antico pure in una canzone cantata da Franco Ricciardi o forse Mimmo Dani, c’era pure la principessa in quella canzone, forse la faceva Ida Rendano o magari Emiliana Cantone, va’ a capire, e sia il cavaliere che la principessa non cantavano in napoletano perché gli amori dei cavalieri erano troppo seri per esprimerli con la lingua di Pullecenella. Ma che stava dicendo? Ah sì, parlava dei cavalieri innamorati, gliene aveva parlato pure una sua maestra delle elementari, la signorina Giovanna, una che piangeva per le poesie romantiche dei tempi di Dante, ma che ti lasciava le cinque dita in faccia se osavi farti beffe delle sue idee sull’amor cortese. La signorina Giovanna parlava di cavalieri e poesia come se si aspettasse da un momento all’altro che sotto casa sua parcheggiasse un destriero focoso cavalcato da un Lancillotto con un mantello rosso e uno spadone più grosso e affilato del coltellaccio del chianghiere della zona, come se fosse normale che un eroe andasse a chiedere la mano di una maestrina elementare nemmeno tanto bella che aveva come massimo pregio quello di stampare cinque dita rosse sulle guance degli alunni scostumati che osavano ridere dei suoi racconti sull’amor cortese. Lui adesso poteva pure essere mezzo scemo, disse o cercò di dire Giggino, ma all’epoca gli scemi erano gli altri e lui si beveva tutte le parole della signorina Giovanna, aveva pure fatto una relazione su re Artù, forse per dimostrare che era intelligente o forse perché sotto sotto era innamorato della signorina Giovanna. O forse non era innamorato davvero della signorina Giovanna perché nella relazione scolastica aveva scritto che quando vuoi bene sul serio a una donna sei disposto ad affrontare un drago di quelli veri e grossi e con il fuoco che gli esce di bocca. No, lui non avrebbe affrontato un drago per la sua antica maestra delle elementari, questo se lo ricordava bene e questo dunque significava che non era realmente innamorato della signorina Giovanna. Perché una cosa Giggino aveva capito sull’amore, quando sei davvero innamorato, quando il tuo cuore fa il pazzo per qualcuno tu il drago lo affronti, anche a costo di morire, perché l’amore è più forte di qualsiasi drago.

2 commenti:

  1. Mmmmmhhhhhh
    Come mi è familiare questo Giggino... ;-)

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  2. Be', anche a me non è nuovo, specie per quel suo vagheggiare di amor cortese nei vicoli partenopei :-)

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